Il territorio di Castelnovo era verosimilmente frequentato già in epoca protostorica, come testimonierebbero alcuni reperti archeologici di superficie rinvenuti in anni recenti, così come è verosimile pensare che la frequentazione dell’area sia perdurata, se pur con qualche soluzione di continuità, fino a età altomedievale, senza che però se ne possano riconoscere grosse tracce a livello archeologico e documentale.

La storia più recente e più facilmente ricostruibile del territorio è legata alle vicende del suo castello, che sorgeva sul colle dove ora si trova la chiesa del “Borc” dedicata a San Nicolò, in località Vigna.
L’esatta data di costruzione del castello, voluto forse da qualche signore bavarese vassallo della Chiesa aquilieiese, non è nota e potrebbe essere fatta risalire a un periodo precedente alla prima menzione del fortilizio de Castronovo, che data al 1150, ma ciò non sembra del tutto coerente con i dati dei documenti più antichi, che non riportano la denominazione tedesca Neuhaus, che sarebbe quindi più recente.
Da un documento del 1250 si sa che il castello era passato ai Conti di Gorizia. Da quest’epoca in poi i personaggi legati al fortilizio che incontriamo nella documentazione d’archivio sono molti e di varia origine, a testimoniare continui passaggi di mano nella giurisdizione sul castello e il suo territorio. Passaggi che però non portavano grossi cambiamenti per le condizioni di vita della popolazione locale, sfruttata e tenuta in condizioni di miseria.
É noto che nel 1420, anno dell’occupazione veneta, Castelnovo era saldamente tenuto dai Conti di Gorizia. Ancora nel 1508 erano le genti dell’imperatore Massimiliano ad avere il controllo sul fortilizio (ceduto nel 1507 ai signori di Strassoldo), ma, nel giro di un anno, dopo avergli posto un lungo assedio, i Veneti riuscirono ad impadronirsene e lo assegnarono, per meriti acquisiti, ai Savorgnano, che lo tennero sino alla caduta della Repubblica.
É proprio dal XVI secolo che arrivano le testimonianze archeologiche più interessanti per il territorio, che in parte costituiscono oggi la Raccolta archeologica di Villa Sulis: i circa 5000 frammenti di ceramica databile tra la metà e la fine del XVI secolo rinvenuti in Loc. Cruz, in quello che era uno scarico di una fornace che produceva manufatti da mensa di uso corrente.

Il castello, di cui oggi rimane soltanto parte di una torre trasformata in torre campanaria dall’ultimo quarto dell’Ottocento, è solo idealmente ricostruibile, in particolare sulla base di alcuni disegni: possedeva una torre (l’attuale campanile) e una prima cinta muraria; una seconda cinta a sud ospitava verosimilmente la parte propriamente abitativa del fortilizio, l’ingresso avveniva da ovest, tramite alcuni gradini e una scala retrattile. L’intero complesso doveva avere una forma ovoidale e un perimetro di circa 180 m.
Neanche il periodo di relativa stabilità sotto i Savorgano, che gestivano Castelnovo come una proprietà estiva da far fruttare il più possibile, portò miglioramenti sostanziali alle condizioni di vita della povera popolazione, anzi.
I dati riferiti alla popolazione, tratti da un documento ufficiale datato 6 settembre 1784, parlano di 1.600 abitanti nelle allora sei contrade di Castelnovo (Oltrerugo, Mondel, Riviera, Vidunza, Celante e Paludea) di cui 500 condannati ad emigrare e 659 costretti a questuare in condizioni di estrema povertà.

Già dalla seconda metà del XVIII secolo il fortilizio di Castelnovo era in rovina: da un documento del 1776 risulta che molti materiali da costruzione erano stati prelevati dal sito e riutilizzati per altri scopi, come peraltro è accaduto a molti castelli friulani coevi.
Ancora nel 1881, oltre alla torre, rimanevano in piedi porzioni importanti delle mura, demolite però di lì a poco per ricavarne materiali per la costruzione della nuova chiesa di San Nicolò.