Le persone

Rimesse di emigranti e di lavoratori stagionali, pastorizia di sussistenza, orticoltura e frutticoltura, carbone vegetale: l’economia di Castelnovo del Friuli fino agli anni Sessanta del Novecento era tutta qui, sfruttando le opportunità di un territorio ricco di prodotti naturali. E mentre gli uomini mettevano le proprie forti braccia a disposizione soprattutto dell’edilizia europea, le donne, con l’aiuto di vecchi e ragazzi, si dedicavano al commercio dei raccolti di ortaggi e frutta, le rivendicules. Frutti di un territorio generoso, ma anche di sudore e sapere.

A Castelnovo si possono trovare più di venti varietà di mele, una decina di pere, fichi, susine, ciliegie, pesche, oltre a frutta secca, come castagne, noci e nocciole, prodotti del bosco come i funghi, erbe aromatiche e ortaggi. Un surplus di produzione per le famiglie che veniva caricato nelle carrette (barel) o in particolari cassette da bicicletta per partecipare ai mercati di Spilimbergo (il sabato), Maniago (il lunedì) e San Daniele (il mercoledì). A Spilimbergo, in particolare, il posto delle rivindicules, chiamate dai locali anche montagnulis, era sotto i portici prima di palazzo Monaco.

Ma i prodotti castellani arrivavano anche oltre, fino a Codroipo, Latisana e perfino Portogruaro e Motta di Livenza, dove frutta e ortaggi venivano barattati, alla pari, con granoturco, frumento. Viaggi a piedi, o in bicicletta, che potevano durare anche una settimana. E allora le donne dormivano in luoghi di fortuna, spesso le stalle. Le mele erano il prodotto più richiesto, vista la grande varietà coltivata a Castelnovo, e che derivava da un sapiente lavoro di trapianto e di innesto delle specie selvatiche.

Il bosco forniva anche funghi ed erbe aromatiche e, soprattutto, legno. Fino agli anni Cinquanta del Novecento una delle attività più dure era quella dei carbonai. Dal taglio degli alberi alla preparazione della bujata, la catasta costruita per dare compattezza e garantire una combustione lenta, e quindi alla raccolta del carbone, passavano anche venti giorni, giorni che i carbonai vivevano accanto al loro impianto dormendo in capanne di fortuna.

Anche qui l’attività delle donne era importante: con cos (gerle), gei (cesta) e buinc  (arconcello) portavano il carbone dal bosco ai mezzi di trasporto con cui consegnavano poi la merce alle varie case private e officine (coltellerie di Maniago, fonderie di Pordenone, Vetrerie di Venezia).

Le donne, poi, attaccavano ai loro arconcelli anche i secchi, portando l’acqua nei terrazzamenti dove venivano coltivate le varietà autoctone di vite (tra le quali piculit neri, sciaglin, ucelut).